Gracia Viscasillas
Equipe Centro di Educazione Infantile “Patinete”
C’è una questione che è importante che rimanga aperta e sotto controllo in ogni istituzione, la questione sui limiti, sulle proibizioni, su come utilizzare e trasmettere le norme, quale è la loro funzione, cosa si cerca di regolare.
Segnaliamo per prima cosa che una delle caratteristiche di Patinete è la flessibilità, la quale può supportarsi solo su un lavoro di organizzazione orientato a favorire che l’istituzione possa modularsi rispetto “a ciascun bambino”, in una maniera che permetta che le modifiche che sono richieste dalla particolarità di un bambino possano convivere insieme al “per tutti” istituzionale, in un ambiente che renda possibile il lavoro. Inoltre bisogna tenere in conto che la nostra istituzione è inscritta nel sociale nell’ambito “educativo”.
Allora, dove è il limite tra il “laissez-faire” e la docilità verso il soggetto? Considerato che noi miriamo al soggetto che c’è nel bambino, abbiamo inoltre verificato che, in certe occasioni, lì dove il bambino risulta scomodo il soggetto potrebbe essere al lavoro.
Uno dei punti di appoggio del nostro lavoro sono le riunioni settimanali di coordinamento dell’equipe. Di seguito, due vignette che abbiamo estratto da queste riunioni:
Vignetta 1:
Per Juan, un bambino autistico di 4 anni, è molto importante che al termine di un’attività ogni cosa resti al suo posto. Lui comincia a svuotare scatole, a capovolgerle, a disperderle. Anche a livello dell’oralità sorge questo disperdere: porta l’educatrice in cucina e le indica qualche alimento. Se gli viene dato, il bambino prende un boccone di cibo per poi lasciarlo da qualche parte, quindi indica un altro alimento e ricomincia ancora.
Nella riunione gli educatori hanno posto due domande che ci hanno permesso di avanzare nel lavoro con questo caso: Perché gli davano immediatamente l’oggetto quando il bambino lo indicava? Quale è il limite dell’educatore riguardo al fatto di assecondare il bambino?
In quell’occasione abbiamo deciso di lavorare sul versante dell’oralità. Le domande che hanno posto gli operatori ci hanno permesso di inventare delle strategie.
Da un lato, si nota che la sequenza diretta indicare-dare ci portava a comprendere troppo rapidamente e univocamente e che questo chiudeva la possibilità di dare altre risposte possibili e di produrre altri effetti. Si propone dunque di non capire in modo così rapido, di poter dare l’oggetto ma anche di fare equivochi, di nominarlo, di poter giocare con quell’oggetto, per esempio, attraverso giocoleria.
Dall’altro, abbiamo stabilito una norma che includeva anche noi, rispetto alla quale anche noi dovevamo sottostare: “en Patinete, si mangia nel luogo destinato a mangiare”. In questo modo, se Juan indicava una mela e gli veniva data, per mangiarla bisognava fare riferimento a quel luogo anche se poteva mangiare solo un boccone e andare a prendere un’altra cosa. Miravamo a creare un intervallo, una pausa che gli permettesse di staccarsi da quella spinta all’oggetto e che lo potesse aiutare a costruire un bordo, segnando anche un luogo.
Inoltre, anche gli educatori, sia per prendere un caffè che per un biscotto, dovevano prenderlo seduti nel luogo indicato. Notiamo che l’enunciazione di questa norma è stata comunicata da educatore a educatore, così come all’insieme dei bambini – i quali sono stati tanto sensibili a quest’indicazione che, talvolta, se qualche educatrice “distratta” prendeva un caffè in piedi, erano loro stessi che le ricordavano che bisognava sedersi a tavola. Attraverso queste manovre è venuta a cadere quella richiesta di un cibo dietro l’altro. Inoltre, possiamo dire che, come effetto, sono cominciate a manifestarsi molte parole e, nello stesso tempo, il suo disperdere si è attenuato.
Vorrei far notare qui la messa in gioco della “docilità” dell’equipe – questo termine deve differenziarsi da “laissez-faire” -, che si manifesta in diverse maniere: da una parte, gli educatori non dicono di “no” alla reiterata richiesta di cibo; dall’altra, sono docili alla norma stabilita ed ai momenti della sua enunciazione da parte dei compagni e dagli altri bambini.
Vignetta 2
Un’altra scena con un altro bambino autistico, anche lui di 4 anni, anche questa riguarda la cucina e l’oralità. Questa volta si tratta di Daniel, in lui, dopo aver subito un intervento alle adenoidi, vi è un eccesso in relazione all’oralità: aumento vertiginoso di peso in un bambino che fino allora mangiava molto poco, gesto ripetuto di mettere in bocca e succhiare la mano.
In questo caso proponiamo una strategia riguardante la madre, dato che questa aveva cominciato a portare ogni mattino una pagnotta intera con la quale nella cucina preparava un panino che Daniel mangiava lì, nonostante poco dopo pranzasse di nuovo con gli altri bambini. A poco a poco, risolvendo tutte le difficoltà che ci manifestava, la mamma porterà il panino già pronto e avvolto.
In un’occasione una educatrice prende il panino avvolto che Daniel aveva in mano e voleva mangiare dicendo che lo avrebbe messo via nella scatola insieme ai pranzi degli altri bambini. La risposta di Daniel è sorprendente, perché la sua risposta abituale sarebbe stata di prenderlo ad ogni costo o di mettersi a battere, invece resta in piedi di fronte a lei, si abbraccia alle sue gambe e si mette a piangere, per la prima volta con lacrime. L’educatrice, sorpresa, agisce come farebbe di fronte a qualsiasi altro bambino, lo prende in braccio e lo consola. Possiamo dire che è la seconda volta che lei, in questa scena, gli dà un luogo da “bambino”.
Nella riunione di coordinamento, l’educatrice – commossa da queste lacrime –rispetto ai limiti del suo intervento, si domandava se doveva dargli o no quel panino. Un’altra educatrice porta in riunione un’altra scena che fa da controprova. Il giorno dopo la vignetta che abbiamo prima riferito, Daniel era in cucina con un’altra educatrice, ha preso il suo panino ed è uscito di corsa verso la sala…raggiungendo l’educatrice della scena precedente, alla quale consegna il suo panino.
Anche in questa vignetta la strategia del “no” riguardava frenare un eccesso. Sottolineiamo che il limite non è stato messo al bambino ma, da un lato, alla madre, e dall’altro, all’oggetto, al panino. Daniel ha dato il suo consenso a questo, inoltre è riuscito ad includersi nell’insieme degli altri “bambini”. Aggiungiamo che, a partire da quel momento, sarà la stessa madre di Daniel ad iniziare a mettere il panino nella scatola dei pranzi.
Cosa ci insegnano queste vignette sul tema rispetto al quale stiamo lavorando?
Per primo, che per porre una proibizione, una norma, ci orientiamo in relazione a ciò che restava dal lato dell’eccesso per Juan e per Daniel. Abbiamo tentato di dare un limite a quel eccesso e non al soggetto, senza fermarci nel tentativo di costituirci un partner del soggetto nel trattamento dell’eccesso che sperimenta.
In secondo luogo, che la “norma” ci riguardava, restando anche noi sottomessi ad essa, scartando l’imposizione arbitraria.
Per quanto riguarda la Vignetta 1, dobbiamo dire che l’enunciazione di quella norma ha avuto luogo tenendo in conto il caso particolare di quel bambino, giacché precedentemente non è stata necessaria nel funzionamento abituale di Patinete. Enunciare questa norma in quel momento ha avuto un fondamento preciso; però, con il passare del tempo, essa potrebbe trasformarsi in una “norma cieca”, che funziona per routine con il rischio di catturare bambini ed educatori in “obblighi” superflui che mettano in secondo piano il vero lavoro da fare.
Ed è stato giustamente questo ciò che è successo con quella norma di “mangiare seduti a tavola”. Tanti anni dopo questa vignetta, dopo che anche altre educatrici erano entrate a formare parte dell’equipe, durante un’altra riunione di equipe si era presentata la difficoltà delle educatrici di come fare affinché un bambino – autistico anche lui e che allora non si sedeva in nessuna delle attività – mangiasse seduto a tavola. Nella riunione veniva segnalato come il far rispettare la norma era diventato qualcosa di prioritario per le educatrici, trascurando il lavoro con il soggetto. E’ stato necessario ricordare da dove veniva quella norma alla quale tutte si sentivano obbligate ed in difficoltà nel farla rispettare. Questo è stato un sollievo per loro, in modo tale che poi sono riuscite a confrontarsi con questo bambino, sentendosi autorizzate a sviluppare altre strategie nel lavoro con lui.
Traduzione: Silvia Cimarelli
Revisione: Chiara Mangiarotti