Il mondo di Théo

 

Vilma Coccoz

Responsabile Osservatorio Autismo. Euro Federazione di psicoanalisi

 

Poco tempo fa abbiamo ricevuto una bella notizia. Théo, che come abbiamo potuto vedere nel documentario è affascinato soprattutto dai computer e dall’acqua, dopo aver terminato con successo il suo primo corso di immersione, ha potuto realizzare il suo sogno: nuotare come le tartarughe. Sua madre, Valéry Gay Corajoud, oggi non è potuta essere qui con noi perché ha accompagnato Théo a visitare per la sua seconda volta il mondo subacqueo. Nonostante la sua assenza la signora Valéry nutre grandi aspettative nei confronti di questo seminario.

Lo scorso Aprile, durante le celebrazioni della giornata mondiale della consapevolezza dell’autismo organizzata dall’associazione La main à l’oreille, Théo intervenne con scioltezza, insieme a suo fratello, per far conoscere al pubblico il difficile percorso (1) che dovettero affrontare insieme per riallacciare un vincolo fraterno dopo che questo si era interrotto nel momento in cui Théo, all’età di circa due anni, era caduto in uno stato simile a ciò che gli autistici Owen Reskind e Donna Williams Gran chiamano rispettivamente “pozzo nero” e “niente nero”.

Nel documentario Le monde de Théo il bambino ci viene presentato da sua madre che ci invita a immergerci nel suo mondo facendoci partecipi delle gioie, preoccupazioni e ansie provate da Théo durante la sua tenace lotta per superare le molteplici avversità incontrate sul suo camino. Oggi possiamo dire che Théo fa parte del nostro mondo, soprattutto grazie alla generosa dedizione delle amiche e degli amici della grande rete di interscambio LaMaO.

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Aprendo porte

 

 

 

Mª Jesús Sanjuan

Presidente dell’associazione di famiglie de TEAdir-Aragón

 

Se vogliamo capire l’essenza di questo seminario di buone abitudini tra professionisti e famiglie bisogna guardare indietro e ricordare perché, per fortuna, quelle buone abitudini fecero si che al giorno d’oggi la vita sia più facile tanto per il bambino quanto per il genitore.

Una cosa che mi preoccupò e mi angosció sempre fu la possibilità di perdere il mio bambino

Fu un periodo molto agitato perché i meccanismi che mio figlio utilizzava per mitigare il caos presente nel suo mondo rompevano gli equilibri del mio.

Spesso iniziava a correre senza avvisarmi e senza che io ne capissi il motivo. Ero sempre angosciata, cercavo di acchiapparlo, lo chiamavo gridando e non gli permettevo allontanarsi da me più di un metro.

Qualche tempo dopo parlai con il suo terapeuta. L’idea di non poter porre dei limiti al mondo unita alla sensazione che avevo che lui non riconosceva i pericoli metteva me nella posizione di un guardiano estenuante e lui in quella di un bambino perennemente perseguitato e intrappolato in una relazione di fuga-cattura senza fine.

Il suo terapeuta mi fece capire che dietro l’esplorazione dei limiti c’era un motivo: trovare ciò che in quel momento della sua vita catturava tutta la sua attenzione: l’aprirsi e il chiudersi dei portoni dei garage.

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I sintomi o il soggetto

 

Una madre di TEAdir-Euskadi

 

I sintomi sono il primo segnale di allarme.

Il tic nervoso, quello strano modo di trascinare le parole, quel discorso formale quasi accademico e pedante, quel gioco solitario e stravagante nel parco …

I sintomi ci mettono la paura nel corpo e ci avvisano. E quando andiamo dal medico è ciò che descriviamo: gioca da solo, parla con personaggi strani, muove sempre la testa, si blocca, sembra non sentire, è immerso nel suo mondo, trascina le parole come se balbettasse, la sua conversazione è eccessivamente formale …

E a scuola, anche la sua insegnante parla di questi sintomi: non si capisce con il resto della classe, sta per i fatti suoi, sembra non prestare attenzione, si altera in presenza di molta gente, non smette di disegnare i margini dei libri o fare palline di carta con i quaderni …

E nel parco i sintomi lo additano: quello è il bambino “strano”, “stravagante”, “diverso”…

Vorrei che i sintomi scomparissero. Vorrei che si comportasse come il resto.  Senza questi maledetti sintomi, mio figlio sarebbe come tutto il resto. Senza sintomi, non ci sarebbe “problema”.

E poi ci chiediamo: chissà, se lo costringiamo a tenere la testa ferma, chissà, se lo iscriviamo a calcio, chissà, se gli togliamo la play station per essere “costretto” a giocare nel parco, chissà, se lo rimproveriamo costantemente quando disegna i margini del libro per farlo smettere, chissà, se tutti quei sintomi scompaiono … chissà…

Ma nella vita quotidiana percepiamo che combattere queste manifestazioni è rimanere nella superficie, nell’apparente, e che nostro figlio rapidamente sostituisce un sintoma represso con un altro che svolge la stessa funzione.

A casa nostra questo era molto evidente: abbiamo represso la sua “mania” di disegnare ai margini dei libri durante le lezioni perché sembrava non prestare attenzione. Ed ha sostituito questa “mania” con quella di fare palline di carta con i fogli dei quaderni.

E questo ha fatto si che capissimo.

I suoi disegni erano il suo punto d’appoggio, il suo riparo, il suo sostegno.

Prestare attenzione al sintomo (l’apparente distacco in classe), ci aveva fatto dimenticare la cosa importante: stava già attento anche se non lo sembrava, aveva trovato una risorsa per farlo in un modo meno aggressivo o invasivo per lui. E abbiamo imparato a fidarci di lui, della sua logica, della sua forma di presentarsi nel mondo e in relazione al mondo.

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Una passerella per i nostri bambini

Aurore C.

Associazione  La Main à l’Oreille – Antenne Normandie

 

Siamo genitori di un meraviglioso bambino di 3 anni e mezzo.

É un bambino vivace, intelligente, amabile, sorprendente, grazioso… É anche un bambino che ha un Disturbo dello Spettro Autistico o “autistico” se preferite.

Da bebè il nostro piccolo piangeva molto, e il vestirsi, lo svestirsi, il cambiare i pannolini divennero subito un problema. Si arrabbiava molto.

Ricordo che ci vollero tre settimane per passare dal seggiolone alla seggiolina quando ancora aveva pochi mesi. Verso 15 mesi si infuriava e si colpiva, cosa che ci preoccupava molto.

Di fronte alla mia crescente preoccupazione, il mio pediatra mi consigliò di iscriverlo a un nido così che stesse con altri bambini. Alla fine dello scorso anno eravamo molto preoccupati per il nostro bambino; era come in una bolla, abbiamo creduto che fosse sordo. Evitava chiaramente il contatto con gli altri bambini.

Ho fatto presente le mie preoccupazioni allo staff del nido, lì lui giocava da solo, rifiutando le attività. Dopo molti confronti, e di fronte alla nostra determinazione nel pensare che avesse un problema, abbiamo consultato uno specialista: nostro figlio era autistico.

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Un lavoro con tutti i bambini

 

Yolanda Sarsa

Direttrice del Centro d’Educazione Infantile «Patinete»

 

Come sapete, Patinete è un Centro d’Educazione Infantile che, anche se ha la particolarità di accogliere bambini con gravi difficoltà, la maggioranza di quelli che lo frequentano sono dei bambini a cui si applica volgarmente l’appellativo «normali». Tuttavia, per noi, questa cosiddetta «normalità» non ci dispensa dal realizzare un lavoro minuzioso con ciascuno di loro, prendendo sempre in conto la particolarità del caso per caso.

Per questo, per illustrare alcune riflessioni sull’ingresso ed il processo di separazione, abbiamo scelto di presentare quello che potremmo chiamare «un caso tra gli altri» ma, come vedrete, trattato nella sua singolarità.

 

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Ed anche i fratelli domandano…*

 

Mariana Alba de Luna

Associazione La Main à l’Oreille

 

Volevo fare una domanda a Mariana, che prima ha detto di avere una sorella autistica: quando vedi cosa succede a tua sorella, lo accetti, e pensi che gli altri devono conoscere, e che devono anche capirlo? In che momento prendi questa decisione?

 

“Quando ero bambina, la prima risposta che ho avuto fu l’aggressione, perché in principio mi sentii attaccata dall’arrivo di mia sorella, che nacque un anno dopo di me. Ora lo so, mi sono sentii aggredita perché, sin dal momento della nascita, la sua presenza enigmatica interruppe tutto, prese il posto di tutto. E ho dovuto prima combattere con quella aggressività, e allo stesso tempo capire il fascino che mia sorella mi svegliò perché la vidi speciale. Sentii amore per lei, e un misto di amore e di rabbia per essere venuta così in fretta e portarmi via il mio posto. Pensai ci fosse qualcosa di questo. Ma poi mi affascinò e mi dissi: “Beh, se tutti si interessano per lei, sarò come lei”. Poi incomincia… non ad imitarla, ma mi attaccai a lei e divenni come la sua copia. Mi sedevo accanto a lei e mi chiedevo: “Ma cosa fai qui zitta, in un angolo, in giardino? Qualcosa deve fare! ” E ho scoperto molte cose.

 

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L’accoglienza del bambino in istituzione: il processo d’ingresso e il lavoro sulla separazione

 

Yolanda Sarsa

Direttrice dei Centri di Educazione Infantile Patinete

 

L’ingresso di un bambino al Centro di Educazione Infantile è un lavoro a pieno titolo. L’arrivo in un luogo nuovo, in cui si trovano numerose persone sconosciute, può essere una situazione minacciosa per un bambino. Il fatto che il luogo sia attraente e le persone amabili con lui non costituisce un elemento sufficiente affinché il bambino abbia voglia di rimanere. D’altronde, la sua presenza, in questo luogo, è inevitabilmente legata al fatto che la sua mamma, il suo papà o comunque la persona che si occupava di lui fino a quel momento, sparisce, e questo con l’angoscia che ciò può provocare in alcuni casi. Piuttosto che parlare di un lavoro al singolare che il bambino deve realizzare al momento del suo ingresso in istituzione, dovremmo parlare di un suo lavoro al plurale. Sarà necessario che il bimbo si appropri e consideri il luogo e gli educatori come facenti parte del suo mondo familiare, e dovrà inoltre fare un lavoro di separazione dalla madre al fine di poter vivere questa esperienza senza un’eccessiva angoscia.

A Patinete, con gli educatori, lavoriamo anche affinché l’incontro con il bambino sia il migliore possibile. A differenza degli altri Centri di Educazione Infantile, proponiamo che il bambino, in un primo momento, sia accompagnato da una persona di famiglia. Tale accompagnamento gli dà una sensazione di sicurezza di cui ha bisogno, grazie al “ponte affettivo” che si è stabilito fra gli educatori e le famiglie. In tal modo, il bambino può includerci nella parte «familiare» del suo entourage. Il luogo e gli educatori si trovano così immersi nel clima rassicurante trasmesso dalla persona che lo accompagna, e che, come noi, deve mettersi a lavoro. Perché? Perché la separazione funziona sempre per due, l’accompagnatore è dunque parte integrante di questo lavoro.

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La pioggia, il vento, i cartelli

Christine Carteron

Realizzazioni di Jean-Sébastien, 17 anni, ospite nel

Centro Terapeutico e di Ricerca di Nonette

 

La pioggia, il vendo, il calore eccessivo del sole, niente riusciva ad ostacolare la sua presenza fuori, all’esterno, di questo piccolo principe silenzioso eppure così gentile.

Lo invitai a rompere questo isolamento. Accettò.

Mi affido un primo « disegno ». Dei cartelli. All’inizio isolati, in seguito conservati, posti gli uni vicino agli altri, uno ad uno. Di fronte, di profilo, di schiena, dai dettagli vertiginosi.

Successivamente sono apparsi in una scenografia in cui delle strade, delle autostrade, delle barriere di protezione, delle macchine prendevano posto. Alcuni tetti, qualche casa compariva.

Ad opera finita, l’autore mi confida i nomi degli elementi rappresentati, con concentrazione, discrezione e anche con gioia. In seguito mi affida le sue opere, una al giorno, alle volte chiede di rivederle- con giubilazione, mista a soddisfazione

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Marco l’artista… e non solo

Esperienze attraverso l’autismo

Antonella Tofano

Amici della Fondazione  Martin Egge Onlus

 

Racconterò in questo testo del mio incontro con la d.ssa Chiara Mangiarotti, del percorso iniziato attraverso l’atelier di pittura con mio figlio Marco e delle esperienze positive che ho fatto applicando i buoni consigli educativi che mi sono stati dati.

Mio figlio ha ormai 25 anni e ricevemmo la diagnosi di autismo quando ne aveva appena tre. Non è stato mai facile educarlo perché ha un carattere forte e spesso oppositivo che, unito ad una fisicità imponente (è ora alto m. 1.95 per cento chili…) ed a una propensione ai comportamenti aggressivi, spesso ci ha indotto a non farlo partecipare ad attività scolastiche, oppure a limitare l’intervento educativo per paura di aggressioni fisiche. Nonostante un discreto livello cognitivo che gli ha consentito di imparare a leggere e scrivere ad esempio, Marco non è verbale, si esprime con parole frasi, ma nel complesso ha un buon livello di autonomia personale. Fin da piccolo, ha dimostrato una inclinazione verso il disegno e nel corso degli anni ha sviluppato il suo talento e il suo stile espressivo, che abbiamo incoraggiato facendogli frequentare il liceo artistico.

I problemi dunque sono sempre stati tanti, ma attraverso la strutturazione spazio-temporale, l’aiuto della comunicazione con immagini e pittogrammi, con cui spiegare e dettare anche le regole comportamentali, siamo riusciti a rendere Marco una persona che poteva frequentare la scuola e poi il centro diurno.

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Perché l’approccio istituzionale ci sembra essenziale nel lavoro con l’autismo?

 

TORREONSpazio di accoglienza e trattamento per bambini e le loro famiglie.

Gracia Viscasillas. Coordinatrice clínica

 

« Noi siamo in pochi, in questa epoca ,ad aver voluto andare contro le cose, creare in noi spazi alla vita, degli spazi che non erano e che non sembravano dover trovare posto nello spazio ».

Antonin Artaud

Frase scritta sul muro di Torreón

Ci sembra che un’istituzione orientata dalla psicoanalisi è un luogo privilegiato per l’accoglienza del soggetto e per fargli un’offerta singolare. Un’accoglienza ha i suoi modi di trattamento, di difesa per far fronte all’invasione di godimento di cui il soggetto soffre. Un’offerta, costruita in una pluralità – di spazi, di operatori- è fatta per creare uno « spazio », un’ « atmosfera », per costituire un luogo di risposta al di là degli effetti di significazione. A partire da questo tipo di lavoro, possiamo parlare degli effetti civilizzatori del godimento.

Per abitare questo luogo di risposta, bisogna mettere l’accento sull’accoglienza del soggetto, sul particolare che egli porta per poterlo mettere al lavoro. Da anni, nelle nostre istituzioni, ci siamo sostenuti dell’orientamento che ci apporta la « pratica in diversi », che implica il far ricadere il « trattamento » sull’Altro con cui il soggetto ha a che fare –gli operatori, l’istituzione stessa – e di cui gli effetti si intravedono nel soggetto. È dunque importante cogliere quali sono le condizioni dell’Altro che permettono, per ogni soggetto, di facilitare l’incontro.

Laddove la lingua francese utilizza una sola parola, « être » (essere), in spagnolo ne possediamo due : ser (essere instrinseco) e estar (essere di stato). Sempre più spesso, sembra di vivere in una società in cui la domanda per questi bambini sia che «estén (stiano) » bene, e dunque far in modo che si « normalizzino », senza accorgersi che in realtà sono « diversi ». Questo modo di vedere le cose, che sottolinea l’«essere apparente », trascura ciò che ciascuno di questi bambini « è », non tanto nella sua differenza, ma nella sua singolarità. A Torréon ci impegniamo a creare dei luoghi in cui ciascuno di loro possa «estar como es- essere come è » e abbiamo scoperto che, facendo in questo modo, possono « stare bene ». Stare bene, non nella foto fissa della supposta «normalizzazione », ma nella « propria » normalità, singolare a ciascuno.

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Inventare per camminare

 

Alexandra Dauplay-Langlois

Associazione La Main à l’Oreille – Responsabile dell’Antenne Aquitaine

 

Assumere la singolarità di mio figlio nei confronti degli altri non é stato semplice. In casa, questo modo di essere différente é stato più semplice da capire anche se fisicamente sfiancante. Dovevo scrivere con le intemperanze di Mahé, le subivo, senza capirle veramente, senza saperci fare e naturalmente tentata invano di ripetergli “perché fai così”, “smetti di gridare”, “puoi fermarti di saltare?”, ecc…

 

Con l’andare dei mesi e grazie ad un lavoro personale, le mie inquietudini, riguardo all’evolvere di mio figlio, si sono sciolte e una distanza si è a poco a poco introdotta. Assumendo pienamente il suo modo di essere sfasato nei confronti degli altri, ma soprattutto nei confronti delle attese della società, Mahé si è aperto una strada per costruire a partire della sua differenza vissuta ormai come un pozzo di ricchezze incredibili che apre le porte di strade non ancora esplorate. La vita in casa è migliorata. Ho potuto accogliere l’espressione della sua libertà in un quadro flessibile, propizio a delle piccole vittorie che nascono da soluzioni alternative e invenzioni quotidiane. Costruire dei piccoli passi piuttosto che stancarsi a tendere verso una norma a tutti i costi al prezzo di sofferenze e energie inutilmente sfoggiate è ciò verso cui tendo. Aprire piuttosto che chiudere, ascoltare, inventare piuttosto che imporre, spesso non senza mettere mio figlio di fronte a certe piccole responsabilità affinché sia lui il vero attore di queste piccole vittorie. Imparare a vivere insieme, in famiglia, qualunque essa sia e rispettarsi mutualmente.

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L’Antenne 110, une éducation éclairée

 

Bruno de Halleux

Antenne 110

 

Pour des raisons institutionnelles complexes propres à la Belgique, l’Antenne 110 a perdu en 2004 sa dénomination de Centre de traitement et de soin pour enfants autistes. Une nouvelle nomination nous a été attribuée. Nous avons été défini comme un « centre de rééducation ». Ce terme de rééducation est fort éloigné de notre offre pour la prise en charge d’enfants autistes et psychotiques.

L’Antenne 110 est orientée depuis sa fondation par l’enseignement de Lacan. Il a fallu du coup redéfinir notre modalité de travail pour accorder le concept de rééducation exigé par notre organisme subsidiant, la sécurité sociale, avec le traitement au cas par cas que nous réservons à chaque enfant accueilli.

Les enfants qui nous sont envoyés ont le plus souvent traversé divers accueils spécialisés. Ils nous arrivent lorsque toutes les autres possibilités d’accueil sont épuisées. Ils sont épinglés comme ingérables à l’école, à la maison, ou dans les institutions médico-pédagogiques. Nous accueillons d’une certaine façon « le reste, les résidus », les enfants inéducables des institutions scolaires ou médico-sociales. Celles-ci n’ont pas réussi à les intégrer dans leur programme ou leur traitement. Il s’agit alors d’inventer un dispositif, à chaque fois particulier, qui puisse prendre en compte ces enfants inassimilables et non résorbables dans le programme thérapeutique ou éducatif. C’est parce qu’ils se sont montrés réfractaires au discours dans lequel ils étaient pris que ces enfants nous sont adressés.

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Nato due volte

 

María Jesús Compadre

Associazione di famiglie   TEAdir-Euskadi

 

In dicembre del 2012 nacque Aimar, un prezioso bambino che ha adesso dieci anni.

All’inizio vivevo meravigliata dal facile che fosse crescere un bambino che non ha nulla, che segue i tempi di crescita, ed addirittura fare cose prematuramente; sembrava fosse indipendente, che non avesse bisogno di nessuno per poter vivere.

Fu circa ai due anni quando iniziarono a sorprendermi alcuni dettagli del suo comportamento come l’oscillare prima di addormentarsi o l’incapacità di sopportare, un giorno, delle scarpe nuove che dovetti devolvere al negozio. Dato che era un bambino molto vivace e vivevamo ancora ignari delle sue difficoltà, decidemmo scolarizzarlo al raggiungimento dei due anni di età. Come abbiamo appreso più tardi a scuola, pianse molto, ma non gli si è diede troppo importanza, magari pensando che l’adattamento stesse costando più di un altro bambino. Alle volte penso che dovette soffrire molto. Ed arrivò il momento in cui l’insegnante che lo seguiva ci convocò ad una riunione per spiegare ciò che vedeva nel bambino e fu molto prudente nel farlo perché non ebbe il coraggio di menzionare la parola, per cui la dissi io: autismo.

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In camminonetta…

 

Pierre Jacobs

Antenne 110

 

All’Antenne 110, dobbiamo continuamente confrontarci con le seguenti questioni: come comportarci con questi bambini di cui ci dobbiamo occupare? Come accompagnarli quando al loro arrivo spesso si presentano come completamente isolati dall’Altro, sordi ad ogni tipo di discorso, quando le vie del legame, dell’apprendimento, del desiderio sembrano essere bloccate?

Quali invenzioni riescono a trovare per potersi inscrivere un minimo nel mondo, nel campo dell’Altro? E dal canto nostro, come poter ascoltare ciò che hanno da dirci? Come poter accogliere e essere attenti alla loro singolarità, al loro modo di essere che ci rimane spesso estraneo?

Per quanto paradossale ciò possa sembrare, l’esperienza clinica con i bambini accolti all’Antenne che ormai risale a più di 40 anni, non smette di mettere in evidenza che è nel momento in cui noi riusciamo a servirci degli strumenti che il soggetto ci tende, a fare posto ai suoi aspetti più singolari (il suo rapporto con certi oggetti, i suoi centri d’interesse, il suo modo di percepire il mondo), che  accettiamo di lasciarci orientare e dirigere da ciò che il bambino fa, che lo vediamo evolvere, cambiare, assumere il rischio dello “scambio” con l’altro, socializzare e aprirsi al mondo.

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Essere madre di un bambino autistico

 

 

Valérie-Gay Corajoud

Associazione di famiglie La Main à l’Oreille –Antenne Occitanie

 

Chi sono oggi? Al di là di essere madre? Chi sono d’altro?

A consolidare i bordi del mio bambino fragile, ho perso di vista quella che ero? O al contrario ho investito la mia identità nei suoi minimi recessi?

Mi rifiuto di perdere tempo a fare supposizioni su quello che sarebbe stata la mia vita se il mio ultimo figlio non fosse stato autistico. Quale interesse?

 

Per essere onesta, musicista non era il riflesso della mia personalità, piuttosto una via facile nella quale avevo saputo farmi un nome senza veramente pagare di persona. Non vi ero interamente e non mi soddisfaceva. Prendere la decisione di mettere fine alla mia carriera non è stato per nulla doloroso, ma al contrario, liberatorio.

Ma non posso negare che tutte le decisioni che sono state prese dalla nascita di Théo, o almeno dall’emergere del suo autismo sono state in sua funzione. Qualunque sia il soggetto affrontato, nulla è costruito nella mia vita senza valutare gli effetti che tutto ciò potrebbe avere sulla sua vita.

Non so se è una cosa buona, sì o no, probabilmente tutte due.

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Volare con la rete: Carlo, Samuel, Alberto

 

Nicola Aloisi, Silvia Cimarelli, Chiara Mangiarotti

Fondazione Martin Egge Onlus

 

Alla Fondazione Martin Egge Onlus ogni operatore segue individualmente il bambino/a o il ragazzo/a, accoglie i genitori con cui ha incontri periodici, è in costante rapporto con gli insegnanti e il mondo della scuola e con le altre figure di riferimento per esempio all’interno della Asl. Seppure ognuno lavori singolarmente, è sempre presente all’orizzonte la pratica à plusieurs, come dispositivo di rimandi ad un elemento terzo, persone o cose in praesentia o in absentia, che possa annodare intorno al soggetto una rete di desiderio. Il punto di mira del trattamento è, come scrive Éric Laurent, di costruire, “per dei soggetti senza limiti e senza bordo , una catena singolare che amalgami significanti, oggetti, azioni e modi di fare, in modo da costruire un circuito che faccia funzione di bordo e di circuito pulsionale” (1).

Tre vignette cliniche riguardanti tre ragazzi giunti da noi con diagnosi di Asperger, rispettivamente redatte da Nicola Aloisi, Carlo, da Silvia Cimarelli, Samuel, e da Chiara Mangiarotti, Alberto, illustrano il nostro modo di operare.

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I cartoni animati, una porta aperta sul mondo

 

Aurore Cahon y Matthieu Grosset

Associazione La Main à l’Oreille – Antenne Normandie

 

Eliott,

la nostra meraviglia, è un ragazzino che avrà 5 anni domani, un ragazzino biondo come il grano con due perle blu, uno sguardo scintillante.

Un ragazzino detto autistico. 

Quando era lattante piangeva molto.

Fin dai primi giorni, non sopportava di essere vestito e svestito, cosa che più tardi si dimostrò un’avversione all essere toccato.

Era preda di una grande collera che sfociava subito in crisi.

Abbozzava delle parole mentre riempiva le caselle della sua cartella clinica. Ha gattonato poi ha iniziato a camminare, lallava poi ha iniziato a dire qualche parola. Eliott ci guardava, ci sorrideva. 

Poi un giorno Eliott ci scappò via. Era come una nascita al contrario. Ogni giorno sempre di più, fino a chiudersi nel mutismo.

Non ci guardava più.

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A proposito di Carlos e della nostra vita

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                Autore Carlos David Illescas Vacas

 

Rosario Vacas de la Calle

Madre di Carlos David che fu partecipante alla mostra “Il mondo al singolare”, socia di  TEAdi-Granada

 

Innanzitutto, vorrei ringraziare l’organizzazione per averci invitato a riflettere sulla nostra vita, nella quale un posto centrale è occupato da una persona ammirevole e di una bellezza singolare: nostro figlio Carlos. È difficile identificare quali siano state le difficoltà incontrate, soprattutto durante il suo percorso di studente ed è difficile isolare i meccanismi che ci

hanno incoraggiato a ricercare, incessantemente un modo più gradevole di percorrere la vita. È altrettanto complicato cercare di rendere a parole tali questioni ed esprimerle in questo forum, considerando le emozioni provate durante questo lungo percorso, e fondamentalmente, la nostra ferma decisione di sentirci a nostro agio con ciò che avremo detto. Vogliamo sottolineare la nostra riconoscenza nei confronti delle persone che intervengono nell’ambito dell’educazione, il loro ruolo è fondamentale poiché esse si adoperano affinché il mondo sia più bello.

40 anni fa abbiamo deciso di avere nostro figlio Carlos, il primo dei nostri tre figli e il primo nipote della famiglia. Un bambino in buona salute, felice. Probabilmente ciò che lo caratterizza in maniera unica sono i suoi grandiosi contrasti: è affettuoso alla sua maniera, generoso a suo modo, formidabilmente eloquente sugli argomenti che lo interessano, capace di grandi sforzi per piacere a quelle persone che gli dimostrano amore o che pensa lo facciano. Possiede una stima di sé molto alta e si domanda come mai alcune persone non si rendano conto del suo valore. Sa tutto sugli argomenti che gli interessano, è instancabile rispetto a ciò che lo attira, tenero quasi sempre, imprevedibile, non si stanca mai di guardare gli aerei, sa tantissime cose in materia, ma volare lo terrorizza. È sensibile a certi rumori e a certe luci e nonostante questo, adora i fuochi d’artificio.

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Uno spazio singolare per il trattamento dell’autismo

 

Pedro Gras. Direttore

“Torreón”. Spazio di accoglienza e trattamento per bambini e famiglia.

 

Maria (nome inventato) è una piccola bambina autistica di 6 anni che quando pronuncia una parola cade. È l’ora di andare e scende in ascensore con Teresa, operatrice del laboratorio Biblioteca. Al piano terra c’è la confusione tipica del ritrovo tra i genitori e i bambini dopo le due ore e mezza di attività. Nonostante le parole gentili di Teresa, Maria non esce dall’ascensore. 

Non è che la bambina manifesti di non voler uscire, se non che si mostra “inchiodata”, paralizzata, e non risponde alle parole di Teresa. 

Un altro membro dell’equipe che assiste alla scena interviene dicendo con molta enfasi all’operatrice: “Ma Teresa, che ci fai ancora in ascensore? Non lo sai che Maria ha il diritto di andar via tranquilla con sua madre?” 

Teresa si scusa per il suo errore assumendo teatralmente, ma con serietà, quanto gli è stato detto; quindi, la bambina esce da sola dall’ascensore e può ritornare con sua madre senza difficoltà.  

In linea con quello che Jacques-Alain Miller ha chiamato “pratica in diversi” e che lo psicoanalista Antonio Di Ciaccia ha creato nell’istituzione belga Antenna 110, questa piccola vignetta del funzionamento quotidiano ci serve per mostrare come si lavora con questi bambini al Torreón.

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Ballando nella luce

 

Oksana Kolodna

Associazione di famiglie TEAdir-Aragón

 

Accadde qualche anno fa, quando nostro figlio aveva tre anni. Per noi furono tempi duri, i tempi delle incertezze.

Accompagnai mio figlio in gita a visitare una fattoria didattica insieme ad altri bambini e professori dell’asilo. Pensai che saremmo stati bene. Gli animali sono sempre stati una sua passione però, una volta arrivati, la distanza che c’era tra noi mi fece stare male.

Mentre gli altri bambini ascoltavano seduti e attenti le spiegazioni sui vari animali mio figlio stava in piedi, estraneo, indiferente a tutto quello che succedeva intorno a lui. La sua attenzione era completamente catturata da un raggio di sole nella penombra della stalla. Io lo chiamavo, lo esortavo a sedersi vicino agli altri bambini ma lui sembrava che non mi sentisse e muoveva le dita delle sue manine in una maniera strana.

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I bambini autistici nel programma di Cura Precoce

 

Paloma Larena

Fondazione di Cura Precoce: Fundación Atención Temprana

 

Tra il 20 e il 25% dei bambini accolti al CDIAT (Centro di sviluppo infantile e cura precoce) della Fondazione, all’interno del Programma di Cura precoce, hanno una diagnosi di disturbo dello spettro autistico. Ci sono inviati per un “disturbo del linguaggio”, “disturbo del linguaggio e dell’attenzione”, “problemi di socializzazione” o “disturbo pervasivo dello sviluppo”. Queste sono delle etichette che descrivono un insieme di segni discreti che si presentano tra i 2 e i 4 anni, successive alla valutazione fatta dall’Istituto Aragonese dei Servizi Sociali.

I genitori dicono: “Non risponde quando lo chiamo, non si gira”, “è come se ragionasse solo con la sua testa”, “non parla, punta il dito e ci prende per il braccio per portarci a quello che vuole, oppure si mette davanti al frigo, e lo guarda finché non gli domandiamo cosa vuole…”, “quando vuole qualcosa brontola, come un lamento”. Nei colloqui d’ammissione, quando chiediamo loro se il bambino lallava nella culla, la maggior parte dei genitori risponde affermativamente; la lallazione, la lalingua era presente, ma non si è ordinata in parole. In certi casi ci dicono: “mio figlio diceva mamma, papà, uàuà… Ma adesso non lo dice che “qua e là”. È normale che i genitori non riescano a localizzare il momento esatto del cambiamento, come se ci fosse stata una ritenzione progressiva della parola. Tuttavia nel racconto dei momenti dello sviluppo, sorgono delle coincidenze, come se tutto fosse stato normale durante il primo anno e mezzo di vita e dopo… Quando ha cominciato a camminare, al momento dello svezzamento, quando gli hanno tolto il ciuccio o quando hanno introdotto le pappine. Ciascun bambino è diverso, in altri casi non abbiamo più questi dati ma un fatto preciso: “non parla come i bambini della sua età, non dice ciao con la manina”.

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Sullo stesso pianeta

 

Eugénie Bourdeau

Presidentessa dell’Associazione  La Tribu de Lulu

Associazione di famiglie  La Main à l’Oreille

 

Dal momento che la Norma è ancora considerata come prova di rispetto nella nostra società, questa esposizione collettiva (“Il mondo in singolare”) offre agli spettatori la possibilità di esplorare e accedere ad un territorio ancora inesplorato in uno stesso mondo. Un’esperienza fuori dagli standard, dove ognuno di noi scopre attraverso il prisma autistico un altro specchio di se stesso, e cammina verso una migliore accettazione delle proprie differenze prima, e forse un giorno, quelle degli altri.

Ne “Il mondo in singolare” ognuno degli artisti in mostra si esprime con la sincerità e la libertà originale dei bambini, anche se alcuni di loro hanno già l’esperienza di una vita da adulto. Essi ci rivelano opere di una verità que si vede raramente, e di una intelligenza emotiva ancora troppo spesso messa in dubbio.

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Marco

 

Nicola Aloisi, Chiara Mangiarotti

Fondazione Martin Egge-Onlus

 

Marco rivela precocemente la sua straordinaria abilità per il disegno che affina frequentando per cinque anni il Liceo Artistico. Ha un segno sicuro e realizza i suoi lavori con una velocità incredibile; sviluppa precocemente un’attrazione per i fumetti della Warner Bros e ad essi si ispira per disegni che per lungo tempo esegue con un procedimento particolare: sceglie per la strada i suoi modelli, di preferenza uomini adulti e calvi. Li fotografa con il suo tablet o smartphone, rielabora le immagini disegnando prima una testa calva per poi aggiungervi una capigliatura abbondante e di colori sgargianti. Lo scorso anno, per il pannello che assemblava i disegni con cui Marco ha partecipato all’esposizione “Il mondo al singolare”, organizzata a Venezia dalla Fondazione Martin Egge onlus che dirigo, in collaborazione con Teadir Aragon, abbiamo proposto come titolo “L’occasione va dipinta calva”. Gli antichi greci rappresentavano l’Occasione da cogliere con un fanciullo alato, con la testa appunto calva, ma con un lungo ciuffo dietro la nuca che, per l’appunto, bisognava “afferrare” in fretta, prima che volasse via. Per Marco un modo di mettere in forma un neo-bordo, spostando la barriera che lo separa dal mondo?

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Le invenzioni di un padre

 

Aurore Cahon

Associazione di famiglie La Main à l’Oreille – Responsabile dell’Antenne Normandie

 

Sono colei che «gestisce». I documenti, l’organizzazione degli appuntamenti, gli spostamenti, CMP (Centro Medico Pedagogico), scuola, i combattimenti amministrativi, ….

Nel mio quotidiano, a volte pesante, ci sono anche dei grandi momenti di poesia, dove il tempo si ferma, dove il sublime è là.

Eliott ha una stereotipia particolare: fa girare il suo braccio destro a partire dalla sua spalla, il braccio è teso e diritto come una « i ».

E lui gira, gira fino a quasi staccarsi l’arto.

Lo faceva macchinalmente, senza espressioni sul suo viso. A parte una smorfia fissa, i denti stretti.

Il suo papà ha avuto una brillante idea. Gli ha regalato un bastone per ginnastica artistica ritmica, con un lungo nastro variopinto.

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Il bambino che correva tra i piccioni

 

 

Equipe del Centro d’Educazione Infantile “Patinete”

Gracia Viscasillas

 

Riportiamo qui qualche aspetto del lavoro che abbiamo fatto con Mario tra i 2 anni e 4 mesi e i 3 anni.

I primi giorni è sua madre che l’accompagna. Al suo arrivo Mario non parla, non pronuncia suoni, a parte un grido strano e frequente. Non risponde al suo nome e non dirige lo sguardo. Non manifesta nessun interesse per gli altri bambini: non li evita ma si comporta come se non esistessero; non si interessa neanche agli adulti. Gli piace soprattutto il giardino, in cui deambula spesso accompagnato da un carretto o da una carriola che trascina dietro di sé. Ha un particolare modo di camminare: come se non avesse equilibrio.

La madre ci spiega che fa la stessa cosa al parco: non gioca con gli altri bambini ma si limita a trascinare il suo carretto e a correre dietro i piccioni, gridando.

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ZOÉ*

 

Françoise Baudoin

Associazione  La Main à l’Oreille – Antenne Île de France

 

Prima parte : Zoé, dalle sue grida alla sua scrittura

Nel 2006, quando Zoé è arrivata al Centro Nonnette, aveva 17 anni. Gridava di continuo e la vita in casa era diventata molto difficile. Vivevo sola con le mie due figlie, avendo Zoé una sorella di 3 anni più giovane. Loro padre è morto quando avevano 7 e 4 anni.

Zoé era terrorizzata… passare attraverso una porta era per lei insopportabile… avvicinarla, era diventato impossibile… la paura dell’altro era cosi grande che accompagnarla nella vita quotidiana (bagno, vestirsi…) si faceva con le sue urla, accompagnate da parole ripetute circolarmente e gesti di rifiuto.

Zoé non scrive, non ha neanche imparato a leggere, ma si sosteneva attraverso le immagini di molti libri che teneva in mano come un appoggio.

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L’Eveil, un luogo di poca enunciazione

 

Jean- Jacques Manicourt

Le Courtil

 

In seno al Courtil un servizio trasversale stimola il risveglio al sapere. Ci si viene per mettere al lavoro l’interesse particolare rispetto a un oggetto del sapere. Il nome di questo servizio è l’Eveil (il risveglio) e accoglie diversi bambini e giovani dei differenti Centri diurni e residenziali.

 

Lavoro all’Eveil, piccola struttura che accoglie giovani soggetti interessati a un sapere. Accolgo questi giovani – compresi bambini autistici (di cui si sa che non sono insensibili al sapere) Uno per Uno. Questo dispositivo é certo differente da una pratica in un gruppo di vita; l’Uno per Uno (che non esclude ovviamente il caso per caso) non va da sé. Ho dovuto inventare una maniera di circolare, un modo di punteggiatura nell’atelier senza passare da una clinica à plusieurs.

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Gli oggetti

Di Céline T.

Association La Main à l’Oreille – Antenne Provence

 

Quei piccoli oggetti che porti con te non ti lasciano fin da quando eri piccolo. Fluttuano con il tempo. Alcuni sono con te per settimane, altri sono più effimeri. Ora é un piatto di plastica, uno grande, uno piccolo, un pettine, una spazzola, un pezzo di una siringa. Oggetti rigidi, soffici, come le spazzole. Ah, le spazzole! Ti piacciono più di ogni altra cosa, tu ami le carezze con le spazzole.

Se non ti limitiamo, ci dormi, ti ci lavi, ci mangi, vuoi uscirci e se non hai niente tra le mani, trovi qualcosa lungo la strada. Ti si deve domandare di lasciarle per mangiare e per fare qualche attività. Sono anche argomento di trattative, se vogliamo che tu ci obbedisca quando la parola non é abbastanza.

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Il mio incontro con Noah e il suo seguito

 

Véronique Cornet

Le Courtil

 

Quando Noah ha 8 mesi la madre deve riprendere il lavoro e lo lascia dalla propria madre. I genitori situano in questo momento l’inizio delle sue difficoltà. Da allora ha cominciato ad avere delle terribili crisi d’angoscia con pianti inconsolabili. Ogni frustrazione diventerà causa di crisi auto- ed etero-aggressive. Dall’età di due anni e mezzo, Noah è in carico alla pedopsichiatria per disturbi dell’adattamento, disturbi pervasivi dello sviluppo, autismo grave con etero- e auto-aggressività.

Noah è da due anni e mezzo al Cortil, ora è un ragazzino di otto anni

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Sull’atelier di pittura

 

Philippe Aurat

Centro Terapéutico e di Ricerca di  Nonette

 

Come si fa ad organizzare una pratica di pittura con gli utenti del Centro? A quali difficoltà mi confronto e che risposte cerco di apportare? Quali sono le condizioni che renderanno possibile il lavoro e la realizzazione di un’opera?

Gli utenti sanno dire bene o esprimere il loro consenso a partecipare all’atelier, questo accordo è una condizione necessaria. Inoltre bisogna che accettino di trascorrere un po’ di tempo nell’atelier perché si possa realizzare qualcosa. Se riescono a rimanere solamente per un breve lasso di tempo, ogni volta propongo loro di lavorare e di ritornare in varie occasioni sulla stessa cosa.

Ottengo il loro consenso a venire all’atelier sulla base del rapporto che hanno stabilito preliminarmente con me. La forma che prende il legame con questi soggetti è particolare, non è sempre tranquilla, e bisogna tenere conto di ciò che loro portano al rapporto. Il nostro confronto regolare con le loro difficoltà nella vita ci è di insegnamento e ci rende prudenti. Non dobbiamo essere incauti e credere che questo sia già un punto di riferimento. Da un lato, c’è questo aggancio necessario per sostenere il soggetto e, dall’altro, ci sono le particolarità che può adottare questo vincolo.

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Conversazione nel cortile

 

Alexandra Dauplay-Langlois

Association La Main à l’Oreille Responsabile  Antenne Aquitaine

 

Una sera di settembre, sono andata alla riunione di rientro di uno dei miei figli Zadig che è in seconda elementare. Questa scuola, la conosco bene, suo fratello maggiore Mahé, ci aveva fatto la prima elementare qualche anno fa, prima di entrare nella classe di inclusione (Clis) in un’altra scuola.

La direttrice ha presentato come ogni anno l’equipe: tutti gli insegnanti, terminando con l’insegnante della classe d’inclusione. Come gli anni precedenti, non sono stati dati particolari dettagli sull’inserimento e l’accoglienza dei bambini diversi. Neanche una spiegazione su cosa fosse la Clis! Non riuscendo più a trattenermi, alla fine della riunione ho chiesto come fosse possibile che non si dicesse qualcosa in più sull’ inserimento e l’accoglienza di questi bambini diversi che trascorrono la giornata a scuola con gli altri e che potrebbero avere comportamenti che possono sembrare strani. La direttrice ha deciso che era una buona idea quella di parlare di questi bambini e ha dato la parola all’insegnante della classe d’inclusione.

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Una questione di tatto

Chiara Mangiarotti

Fondazione Martin Egge Onlus – Venecia

 

Ho visto la prima volta Marcos quando aveva due anni e mezzo. Marcos camminava in punta di piedi, agitava le mani nei momenti di tensione, curiosità e o contentezza, era molto interessato ad accendere e spegnere le luci, aprire e chiudere le porte, aprire e chiudere i rubinetti dell’acqua in bagno. In questo maneggiamento dell’oggetto in due tempi, Marcos metteva in gioco la struttura elementare del simbolico: acceso/spento, aperto/chiuso, introduceva un segno + e un segno -, due segni in opposizione applicati allo stesso oggetto, realizzando così una forma di alternanza.

Ho cercato di introdurmi con tatto e mantenendo una certa distanza, nelle sue attività ripetitive in cui cercavo di introdurre nuovi elementi. Accompagnavo l’accendere e lo spegnere le luci con dei suoni di un piccolo pianoforte o di uno xilofono di legno, la stessa cosa facevo con i rubinetti. Spesso trascorrevamo buona parte della sedute in bagno, dove Marco apriva e chiudeva alternativamente i rubinetti del lavandino, del bidet, della vasca da bagno, e io accompagnavo i suoi movimenti introducendo ritmi diversi nel nominare le sue azioni: creando così nuove sequenze “musicali” con figure di ripetizioni, variazioni intorno al tema aperto-chiuso e introduzione di pause, come per esempio: “aperto-aperto-aperto-pausa-chiuso-chiuso”, oppure accompagnandolo con il suono degli strumenti.

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“Sasso, forbice, nastro” e l’invenzione della tessitura

Mireille Battut

Presidente dell’associazione di famiglie La Main à l’Oreille

Vice-presidente di RAAPH (Raggruppamento per un Approccio agli Autismi Umanista e Plurale)

 

A la main à l’oreille, accogliamo tutti coloro, autistici, genitori e amici che considerano che deve esserre fatto un posto, nella Cité, al modo di essere autistico, senza riferirsi a una norma sociale o comportamentale. Vogliamo promuovere un approccio che prenda in conto la loro soggettività e accolga le loro invenzioni. Cosa abbiamo in comune? Il fatto di avere incotrato l’autismo, di esserlo, o di vivere con, di averlo, o di dirsi con, o di essere detto con…

A La main à l’oreille, scommettiamo sull’invenzione. L’invenzione non si decreta. Non si programma. Arriva inaspettatamente, domanda solamente che noi riusciamo a riconoscierla, accoglierla. Noi non aspettiamo domani. Noi viviamo oggi. Lo testimonia il nostro blog, che si construisce, giorno dopo giorno, di piccole cose, queste pepite che fanno la vita, ma anche delle questioni, delle sfide, e degli enigmi ai quali ci confronta il nostro incontro con l’autismo.

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Imparare attraverso un oggetto singolare

 

Pilar López de la Garma

Responsabile dell’area di sostegno scolastico presso “Torreón

Direttrice dei Centri di Educazione Infantile “Patinete


Molti anni fa ho cominciato a lavorare nel campo del sostegno scolastico con un bambino autistico che allora aveva 6 anni. Nelle nostre lezioni individuali di sostegno ci prendiamo un tempo preliminare per conoscerci poi cominciamo a lavorare, sempre con il consenso del bambino.

Durante una delle prime lezioni, lui aveva detto: “La mia testa è divisa in compartimenti stagni, mi è molto difficile tirare fuori le idee e farle entrare”. Sono rimasta scioccata dalle sue parole. Un po’ più avanti nel tempo mi aveva detto che le piaceva molto stare con suo nonno nel villaggio e vederlo lavorare con il tagliere. – Gli ho chiesto: – “Cosa è?”. – “Non lo sai? E’ un oggetto che ha una lama molto pericolosa e taglia il passaggio dell’acqua, ma talvolta io lo posso utilizzare con mio nonno e vedere come esce o come entra l’acqua”.

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Pensieri

José Antonio Marín

TEAdir-Aragón


Sono due bambini e una bambina. Corrono per il salotto, salgono sul divano, saltano … ” Siamo pirati …!” Improvvisamente uno di loro, il maggiore, si ferma di scatto: “E’ arrivato papà! Papà è già qui! Ascoltate, ragazzi, è arrivato papà!”. E il suo abbraccio mi colma, è un secondo di felicità così intenso … I piccoli dicono all’unisono: “Papi, papi!”. In un attimo, ti travolgono, ti catturano, ti baciano, ti vogliono raccontare tutto, e con la coda dell’occhio vedo che Miguel ritorna al suo mondo, canticchiando una qualsiasi delle molte canzoni che impara a memoria, dalla televisione sul canale delle Tele-vendite: “Ma ancora c’è di più: se non soddisfatti, vi rimborseremo i vostri soldi” E Miguel ritrasmette questo, con la stessa intonazione, con le stesse parole, e con un lieve sorriso sul suo volto …

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Dietro le norme, il dettaglio

Gracia Viscasillas

Equipe Centro di Educazione Infantile “Patinete


C’è una questione che è importante che rimanga aperta e sotto controllo in ogni istituzione, la questione sui limiti, sulle proibizioni, su come utilizzare e trasmettere le norme, quale è la loro funzione, cosa si cerca di regolare.

Segnaliamo per prima cosa che una delle caratteristiche di Patinete è la flessibilità, la quale può supportarsi solo su un lavoro di organizzazione orientato a favorire che l’istituzione possa modularsi rispetto “a ciascun bambino”, in una maniera che permetta che le modifiche che sono richieste dalla particolarità di un bambino possano convivere insieme al “per tutti” istituzionale, in un ambiente che renda possibile il lavoro. Inoltre bisogna tenere in conto che la nostra istituzione è inscritta nel sociale nell’ambito “educativo”.

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Tu sarai bella!

Laurence Vollin

La Main à l’Oreille – Antenna Svizzera


 

Nel febbraio 2015, ho saputo che avevo un grave problema di salute…

Per diversi giorni non sono riuscita a dirne niente. Poi, un venerdì sera, ero con mio marito nella stanza di nostra figlia e, senza averlo veramente deciso, ho comunicato a lei la notizia.

Nostra figlia Anne-Laure è handicappata a causa di un ritardo fisico, un importante deficit intellettuale e tratti autistici che le producono, tra le altre cose, angoscia e automutilazione.

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Chi è mio figlio?

Ana Goiricelaya

Presidente di  TEAdir-Euskadi


E’ complicato per me, come madre, dire agli altri chi è mio figlio, ci vuole più di un quarto d’ora per spiegarlo.

Inas, è arrivato alla fine dell’estate del 1996, il giorno di San Bartolomeo, esattamente come il suo bisnonno cento anni fa. Questo non è che uno dei suoi aspetti particolari. E’ stato il primo nipote per mia madre ed è per questo che è stato accolto come un re dalle nonne, dalle bisnonne (erano in tre), dalle zie, dalle cugine e infine da una balia molto speciale. E senza nemmeno rendercene conto, abbiamo ottenuto il diploma di famiglia tra pisolini e pannolini.

Da sempre lui ha mostrato di essere un bambino molto sveglio e molto speciale, di una grande sensibilità. Sorrideva costantemente e amava mangiare e anche gustare diversi sapori, in più, non mangiava mai due volte di seguito la stessa cosa. Le consistenze erano molto importanti per lui, è la ragione per cui non apprezzava granché il cibo sminuzzato.

E’ cresciuto accompagnato questi dettagli cosi simpatici e a poco a poco ha cominciato a fare la scoperta del mondo. Bambino, amava molto la musica, cominciava a ballare al suono delle prime arie, cosi durante il suo primo Natale ha scoperto una delle sue grandi passioni: la batteria .

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