I sintomi o il soggetto

 

Una madre di TEAdir-Euskadi

 

I sintomi sono il primo segnale di allarme.

Il tic nervoso, quello strano modo di trascinare le parole, quel discorso formale quasi accademico e pedante, quel gioco solitario e stravagante nel parco …

I sintomi ci mettono la paura nel corpo e ci avvisano. E quando andiamo dal medico è ciò che descriviamo: gioca da solo, parla con personaggi strani, muove sempre la testa, si blocca, sembra non sentire, è immerso nel suo mondo, trascina le parole come se balbettasse, la sua conversazione è eccessivamente formale …

E a scuola, anche la sua insegnante parla di questi sintomi: non si capisce con il resto della classe, sta per i fatti suoi, sembra non prestare attenzione, si altera in presenza di molta gente, non smette di disegnare i margini dei libri o fare palline di carta con i quaderni …

E nel parco i sintomi lo additano: quello è il bambino “strano”, “stravagante”, “diverso”…

Vorrei che i sintomi scomparissero. Vorrei che si comportasse come il resto.  Senza questi maledetti sintomi, mio figlio sarebbe come tutto il resto. Senza sintomi, non ci sarebbe “problema”.

E poi ci chiediamo: chissà, se lo costringiamo a tenere la testa ferma, chissà, se lo iscriviamo a calcio, chissà, se gli togliamo la play station per essere “costretto” a giocare nel parco, chissà, se lo rimproveriamo costantemente quando disegna i margini del libro per farlo smettere, chissà, se tutti quei sintomi scompaiono … chissà…

Ma nella vita quotidiana percepiamo che combattere queste manifestazioni è rimanere nella superficie, nell’apparente, e che nostro figlio rapidamente sostituisce un sintoma represso con un altro che svolge la stessa funzione.

A casa nostra questo era molto evidente: abbiamo represso la sua “mania” di disegnare ai margini dei libri durante le lezioni perché sembrava non prestare attenzione. Ed ha sostituito questa “mania” con quella di fare palline di carta con i fogli dei quaderni.

E questo ha fatto si che capissimo.

I suoi disegni erano il suo punto d’appoggio, il suo riparo, il suo sostegno.

Prestare attenzione al sintomo (l’apparente distacco in classe), ci aveva fatto dimenticare la cosa importante: stava già attento anche se non lo sembrava, aveva trovato una risorsa per farlo in un modo meno aggressivo o invasivo per lui. E abbiamo imparato a fidarci di lui, della sua logica, della sua forma di presentarsi nel mondo e in relazione al mondo.

A volte rimane un enorme mistero perché in una data circostanza nostro figlio si blocca. Ma accettare la sua logica non significa necessariamente capirla. Significa dargli valore e riconoscere che è la sua ed accettare che da essa si costituirà. Siamo noi che dobbiamo adattarci ad essa.

Sono persone che dobbiamo assolutamente ascoltare e sono quelle che, d’altro canto, hanno più difficoltà nell’esprimere quello che vogliono dire.

Il problema è che arriviamo a pensare che questa difficoltà per la comunicazione voglia dire assenza di cose da dire e dall’ “autorità” di “ciò che è normale”, smettiamo di ascoltarli, in primo luogo perché sono piccoli, in secondo luogo perché sembrano non avere niente da dire e terzo perché la loro posizione (quello che hanno da dire) è “sbagliata e deve essere corretta”.

Eppure sono coloro che dobbiamo ascoltare di più, perché per capirli non possiamo fare riferimento alla nostra esperienza, né a quello che viene comunemente accettato dal resto della gente.

Adesso che son passati anni, penso che la chiave per l’evoluzione di nostro figlio è stata la sua curiosità. Ci ha parlato attraverso lei e lei abbiamo dovuto ascoltare.

La sua curiosità per i vulcani lo ha aiutato a non aver più paura di volare, perché per vedere il Teide doveva prendere l’aereo.

La sua curiosità per i fumetti gli ha fatto capire gli scherzi di Mortadelo e Filemon e da lì costruire un rapporto più stretto con l’ironia, che lo ha aiutato a non sentirsi costantemente attaccato dall’ambiente e non percepirlo come qualcosa di pesante.

La sua curiosità per i cartoni animati gli ha fatto scoprire un mondo attraverso cui esprimere i suoi sentimenti, desideri e preoccupazioni. Abbiamo imparato a capire che quello che ci raccontava di quei personaggi è stato il suo modo di parlarci dei suoi interessi.

La sua curiosità riguardo l’eccitazione dei suoi compagni di classe per il calcio, lo stimolò a presentarsi con loro nella finale. Ma non era il calcio ciò che gli interessava, ma relazionarsi con i suoi compagni.

La sua curiosità per Harry Potter lo ha spinto ad incontrarsi sui social con un gruppo di sfegatati della saga, e da lì ad altri interessi e gruppi.

Alla fine mi accorgo che lui è sempre stato avanti. E che il nostro lavoro è stato tener conto della sua richiesta. Ma abbiamo dovuto rispettare le sue curiosità, che non erano le nostre, nè quelle del suo ambiente e che non si dovevano forzare. Erano le sue porte al mondo.

Perché lui lo diceva solo una volta: voglio un fumetto, voglio vedere il Teide, voglio andare a giocare a calcio, voglio il wifi, voglio uno smartphone, voglio andare a Valenzia per incontrare un gruppo di persone che ho conosciuto online. Sì … l’avrebbe detto solo una volta.  A suo padre e a me ci toccò dar valore a questa richiesta, non tralasciarla, coglierla, capire la funzione che poteva avere, aiutarlo ad aprire quella porta, perdere la paura all’ignoto (non é facile presentarsi a Valenzia…) rinunciare a controllare tutto… E soprattutto … fidarci di lui.

Quando i nostri figli e figlie (in particolare quelli con DPS) sono piccoli, a volte è difficile distinguere tra ciò che è addestramento e ciò che è educazione

Pertanto, con ragazzi e ragazze come nostro figlio, man mano che crescono possiamo capire se ciò che abbiamo offerto loro sono solo trucchi per evitare alcuni sintomi per adattarsi a un ambiente che è ostile o se abbiamo dato loro una base più solida per avere la massima autonomia possibile per interpretare la vita e decidere di essa.

Nel caso dei nostri figli e figlie con DPS, la nostra esperienza ci dice che è fondamentale ascoltarli, dare loro la nostra fiducia, credere in loro e rispettarli. Che non possiamo costringerli ad essere secondo degli standard perché loro non sono standard e perché i loro percorsi sono altri.

Nostro figlio fra poco avrà 20 anni. Vive ancora in un’altra galassia, in un mondo parallelo, ma è simpatico, geniale, spiritoso, affettuoso, forte, coraggioso, stabile e sembra felice.

E cosa fu dei sintomi?

La verità è che non saprei che dire.  Alcuni scomparvero dolcemente. Non ricordo quando hanno smesso di essere presenti. Altri sono ancora lì, ma la verità è che noi non ci facciamo troppo caso perché abbiamo scoperto la persona che è dietro di loro.

 

DPS: “Disturbi pervasivi dello sviluppo” (equivalente a TEA en castellano)

 

Traduzione: Luisa Moi