Aprendo porte

 

 

 

Mª Jesús Sanjuan

Presidente dell’associazione di famiglie de TEAdir-Aragón

 

Se vogliamo capire l’essenza di questo seminario di buone abitudini tra professionisti e famiglie bisogna guardare indietro e ricordare perché, per fortuna, quelle buone abitudini fecero si che al giorno d’oggi la vita sia più facile tanto per il bambino quanto per il genitore.

Una cosa che mi preoccupò e mi angosció sempre fu la possibilità di perdere il mio bambino

Fu un periodo molto agitato perché i meccanismi che mio figlio utilizzava per mitigare il caos presente nel suo mondo rompevano gli equilibri del mio.

Spesso iniziava a correre senza avvisarmi e senza che io ne capissi il motivo. Ero sempre angosciata, cercavo di acchiapparlo, lo chiamavo gridando e non gli permettevo allontanarsi da me più di un metro.

Qualche tempo dopo parlai con il suo terapeuta. L’idea di non poter porre dei limiti al mondo unita alla sensazione che avevo che lui non riconosceva i pericoli metteva me nella posizione di un guardiano estenuante e lui in quella di un bambino perennemente perseguitato e intrappolato in una relazione di fuga-cattura senza fine.

Il suo terapeuta mi fece capire che dietro l’esplorazione dei limiti c’era un motivo: trovare ciò che in quel momento della sua vita catturava tutta la sua attenzione: l’aprirsi e il chiudersi dei portoni dei garage.

Cominciare ad aver fiducia in lui permettendogli andare e tornare non fu per me per niente facile però per lui fu una grande liberazione. Poco alla volta cominciammo a stabilire insieme dei segnali che ci permettevano avere fiducia l’uno nell’altro.

Tuttavia, qualche tempo dopo, quando ormai avevamo dimostrato l’uno all’altro quello che ognuno di noi era capace di fare, mi presi un grande spavento: per non più di dieci secondi lo persi di vista.

Mi si annebbiò la mente. Stavo per uscire correndo non so bene dove gridando il suo nome però improvvisamente mi misi a pensare, pensare dal suo punto di vista e non dal punto di vista delle mie paure

Cercai con lo sguardo i vari punti attraenti intorno a me e pensai a quello che mi aveva spiegato il suo terapeauta a proposito del correre verso qualcosa… E effettivamente qualcosa c’era: un gran portone di garage che si apriva e si chiudeva, su e giù, seducente, enorme, perfetto. Il suo unico difetto era essere ubicato in maniera tale che dal punto in cui mi trovavo, solo un grande osservatore poteva scoprire che in quel buco dietro l’angolo c’era un così grande tesoro.

Lui si era messo davanti al portone. Lo guardava e sorrideva come non faceva con nessuno, battendo le mani con entusiasmo. Mi guardó, come se ci fosse stata una connessione tra noi due, si fece serio, io direi spaventato, sicuramente per l’espressione del mio viso. Allora io gli sorrisi e cominciai a salutarlo segnalando che era tutto a posto. Lui mi imitó, mi sorrise e cominciò a muovere la sua manina come se volesse dirmi: “mamma sono qui, va tutto bene”.

Da quel giorno facemmo un patto: lui mi avrebbe avvisato e io gli avrei confidato le mie paure. Cosí ci mettemmo d’accordo per andare a vedere insieme quei fantastici portoni e più avanti ci sarebbe potuto andare addirittura da solo.

Se non fossi stata permanentemente in contatto con il suo terapeuta, se non gli avessi raccontato i miei timori, le mie paure … non avrei potuto aiutare mio figlio e avrei perso la possibilità di mantere un altro legame con lui. Questi legami che madri e figli stringono istintivamente fin dalla nascita, queste connessioni che si danno per scontate senza sforzo, quando hai un figlio autistico hai sempre la sensazione che non esistano però quello che è peggio è che non puoi mai avere la certezza che un giorno esisteranno.

Però la buona notizia è che esistono. Bisgna osservare, cambiare la nostra posizione e trovare il luogo dove si trova nostro figlio. Sicuramente non è il luogo che una madre ha in mente all’inizio del suo percorso genitoriale però è un luogo e ognuno di noi ha il diritto di trovarlo in qualsiasi modo. Ce lo meritiamo.

Al giorno d’oggi questo desiderio ha aperto nuove possibilità: orientazioni, misure, strade, meccanismi differenti, differenze tra pubblico e privato…. Insomma, quei portoni, oggi, mi fanno sorridere anche a me. Per questo, una buona prassi è quella di cercare una soluzione che permetta a mio figlio di stare bene. Non c’è bisogno che sia né sofisticata né ricercata, il suo obiettivo deve essere solamente facilitarlo e aiutarlo a costruire con i suoi mezzi un’impalcatura che lo aiuti a sostenersi in questo mondo.

Traduzione: Federico Bini